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_ Ascoli Piceno

_Cecco D'Ascoli

Cecco D'Ascoli: il Magister contemporaneo

 

di Piersandra Dragoni

“Lasso le ciance e torno su nel Vero:

le fabule me furon sempre nimiche.”

da “L'Acerba”

Cecco d'Ascoli è il poeta, astrologo, medico, alchimista condannato come eretico[1] e bruciato vivo il 16 settembre 1327, a Firenze.[2]

Nel suo caso, purtroppo, la leggenda ha oscurato la realtà raccontando di donne pietrificate sulle torri (v. la “Berta” nella Chiesa fiorentina di Santa Maria Maggiore), di patti con il diavolo, di ponti costruiti in una notte nonché di malefici, di riti negromantici e di libri del comando. Facendo con ciò dimenticare che Francesco Stabili, questo il suo vero nome, è stato un acclamato Magister nelle Università di Bologna e Firenze e un dotto studioso che ha lasciato pregevoli opere in latino - il “De eccentricis et epycicli”, un commento al “De principiis astrologie” del matematico arabo Alcabizio, un commento alla “Sphaera mundi” del matematico e astronomo inglese Johannes de Sacrobosco - oltre alla più famosa “L'Acerba”, opera in volgare considerata una delle più influenti Summae scientifiche di epoca medievale, stampata ristampata e studiata nei secoli seguenti nonostante fosse stata condannata a essere bruciata sul rogo insieme al suo autore e a tutti gli altri scritti.[3]

E' fuori di dubbio che Cecco sia un personaggio misterioso, secondo alcuni persino inquietante. Ma è doveroso sottolineare quanto invece sia stato considerato autorevole nel suo tempo: talmente autorevole da indurre l'erudito umanista rinascimentale Monsignor Angelo Colocci (Vescovo nonchè segretario di Papa Leone X) a scrivere di lui che “pervenne in tanta admiration de populi, che non altramente era admirato che una cosa immortale e […] traeva tucti in admiratione . Ed era non solo de accidental adornato, ma de natural judicio dotato, in modo che d'esso, quando uno correva, era proverbio in Firenze dire: a Cecco d'Ascoli se ne va. O quando auctore degno allegavano: Cecco d'Ascoli l'ha dicto”.[4]

Il Magister, insomma, era un personaggio affascinante e carismatico: un uomo che “ogniuno convertiva in stupore”[5]. Un umanista fuori dagli schemi che in un periodo in cui artisti e letterati perseguivano come ideale la bellezza ricercava invece, con ostinazione, la verità. Un poeta che pur vivendo negli anni del dolce stil novo scelse di utilizzare versi ruvidi, niente affatto mediati, non esteticamente belli come quelli di Dante e dei suoi emuli ma che andassero diritti allo scopo.

Era, in definitiva, uno studioso austero e rigoroso, un precursore dell'approccio scientifico alla conoscenza. Perchè era interessato al Vero. Ed infatti è evidente che per quanto si voglia mantenere aperto il dibattito sulla sua persona, un dato rimane sempre e assolutamente incontestabile: Cecco è stato un tenace, indomabile, intransigente “Cercatore del Vero”. E lo è rimasto fino in fondo, fino all'ultimo respiro “infuocato”.

Chiarito ciò, non si può non rimarcare che proprio in questo tratto peculiare della sua personalità sta anche non solo la sua modernità ma addirittura la sua contemporaneità, perchè in un'epoca storica - la nostra - in cui si tende a considerare verità ciò che viene condiviso dai più o che viene presentato con slogan ad effetto, conoscere meglio Cecco d'Ascoli, la sua vita e le sue opere potrebbe essere di aiuto per riscoprire dentro di noi quel “cercatore del vero” che consente di svincolarsi dai semplicistici e più facili da gestire luoghi comuni per elaborare e coltivare il libero pensiero.

Nel 2019 ricorreva il 750° anniversario della sua nascita e la città lo ha festeggiato con “Ascoli celebra Cecco”, un articolato programma di manifestazioni culturali e artistiche che si è sviluppato nell'arco dei dodici mesi.

Anche l'A.M.I.A. ha voluto ricordare il Magister ascolano dedicandogli una mostra monografica affiancata al “Premio Marche” e gli artisti che hanno risposto all'invito dell'Associazione sono stati davvero tanti: a dimostrazione del fatto che Cecco d'Ascoli era fonte di ispirazione nel suo tempo e continua a esserlo anche nel nostro.

************

[1] l'accusa di eresia fu sostenuta da “Accursio Bonfantini dell'Ordine dei Frati Minori di San Francesco per autorità Apostolica Inquisitore dell'Eretica malignità della Provincia Toscana”

[2] Nella “Nova Cronica” di Giovanni Villani (storico e cronista fiorentino contemporaneo di Cecco)

"Come in Firenze fue arso mastro Ceccho d'Ascoli astrolago p[er] cagione di resia.

Nel detto anno, a dì 16 di settembre, fue arso in Firenze per lo 'nquisitore de' paterini uno Maestro Cecco d'Ascoli, il quale era stato astrolago del duce [Carlo d'Angiò, duca di Calabria, n.d.r.], e aveva dette e rivelate per scienza d'astronomia, ovvero di nigromanzia, molte cose future, le quali si trovarono poi vere, degli andamenti del Bavero [Ludovico IV detto il Bavaro, n.d.r.] e de' fatti di Castruccio [Castruccio Castracani degli Antelminelli, n.d.r.] e di quegli del Duca. La cagione perchè fue arso sì fu perchè, essendo in Bologna, fece uno trattato sopra la spera, mettendo che nelle spere di sopra erano generazioni di spiriti malegni, i quali si poteano costringere per incantamenti sotto certe costellazioni a potere fare molte maravigliose cose, mettendo ancora in quello trattato necessità alle influenze del corso del cielo, e dicendo come Cristo venne in terra accordandosi il volere di Dio co' la necessità del corso di storlomia [astronomia, n.d.r.], e dovea per la sua natività essere e vivere co' suoi discepoli come poltrone, e morire della morte ch'egli morìo; e come Anticristo dovea venire pe' corso di pianete in abito ricco e potente; e più altre cose vane e contra fede.”

[3] Ci sono opere di cui abbiamo testimonianze ma che sono andate perdute - le "Praelectiones ordinariae astrologiae habitae Bononiae"; i trattati "Ratio cognoscendi ex sideribus quidam morbi laethales sint quive non" ed "Epistula seu tractatus de qualitate planetarum" (citata da Cecco nel commento alla Sphera); le "Glossae in Centiloquio Tolomei" (Cecco le cita come imminenti nel commento alla Sphera); i due scritti "De morbis cognoscendis ex aspectu astrorum", (forse commento ai Pronostici di Ippocrate) e "Commentarii in Logicam" (Pico della Mirandola lo colloca nella Biblioteca del Duca di Urbino) - più altre di incerta attribuzione, fra le quali una profezia (cod. Perugino 292; Vat. 9049) e il trattato "De quodam modo phisionomiae".

[4] [5] Angelo Colocci, Cod. Vat. 483

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